CPI, tassi e mercati.
CPI, tassi e mercati.
L'ultimo rapporto sull'inflazione, pubblicato ieri, ha confermato un quadro complesso e sfaccettato della situazione inflazionistica negli Stati Uniti.
Sebbene i dati abbiano mostrato un rallentamento dell'inflazione su base annua, l’inflazione rimane comunque “appiccicosa”, suggerendo che il ritorno al target del 2,0% della Federal Reserve richiederà più tempo del previsto.
In particolare, l'inflazione core è aumentata dello 0,3% per il quarto mese consecutivo, portando l'aumento annuo al 3,3%. Allo stesso tempo, i prezzi dei beni, esclusi cibo ed energia, hanno registrato una crescita significativa dello 0,3%, il livello più alto dal maggio 2023.
Questi dati evidenziano come la disinflazione sia rallentata, mantenendo viva la pressione su settori specifici, come i servizi, dove l'inflazione rimane sopra il livello di comfort della Fed.
Un aspetto interessante, emerso dal rapporto, è stato il rallentamento dell'inflazione nei costi degli affitti, che tuttavia continuano a influenzare l'indice generale a causa del ritardo intrinseco nel calcolo da parte del Bureau of Labor Statistics.
Questo ritardo deriva dal fatto che l'indice considera una media di tutti i contratti di affitto in essere, invece dei nuovi contratti stipulati nel mese più recente.
Di conseguenza, i dati ufficiali tendono a sottostimare i cambiamenti più recenti nei costi abitativi.
I dati privati, come quelli forniti da Zillow, mostrano che la disinflazione nel settore degli affitti è probabilmente già terminata, con i prezzi che hanno raggiunto una stabilità laterale negli ultimi mesi.
Questa dinamica suggerisce che il contributo positivo alla riduzione dell'inflazione generale da parte degli affitti potrebbe diminuire nei prossimi mesi, complicando ulteriormente il compito della Fed.
Anche altre misure di inflazione, come l'inflazione mediana della Federal Reserve di Cleveland e il cosiddetto supercore della Fed (che esclude l’energia e i beni volatili), continuano a mostrare valori significativi, rispettivamente appena al di sotto del 4,0%. Questi indicatori sottolineano la natura persistente dell'inflazione, rafforzando l'idea che il ritorno al target del 2,0% sarà una sfida impegnativa.
Nonostante alcuni segnali positivi, come il calo della crescita salariale rilevata dalla FED di Atlanta, scesa al livello più basso degli ultimi tre anni, la pressione inflazionistica su altri fronti resta elevata e richiederà un monitoraggio attento.
La reazione dei mercati obbligazionari e azionari ai dati sull'inflazione è stata significativa.
I Treasury a breve scadenza hanno inizialmente registrato un rally, riflettendo le aspettative di un taglio dei tassi di interesse da parte della Fed nella riunione della prossima settimana.
Tuttavia, i guadagni si sono parzialmente ridimensionati, segnalando una crescente incertezza sul percorso futuro della politica monetaria.
Gli investitori sembrano essere convinti che un taglio di 25 punti base sia ormai scontato, ma il vero interrogativo riguarda il ritmo dei successivi interventi.
Le proiezioni di mercato indicano ulteriori due o tre tagli nel 2025, ma questa ipotesi potrebbe essere rivista al ribasso alla luce della persistenza dell’inflazione.
Il mercato azionario, invece, ha reagito con entusiasmo.
Il Nasdaq 100 ha raggiunto nuovi massimi storici, trainato dai guadagni dei titoli tecnologici, mentre l'indice Nasdaq Composite ha superato per la prima volta la soglia dei 20.000 punti.
Questo rally appare in parte giustificato dalla stagionalità favorevoledi fine anno e dall'ansia da performance tra i gestori di fondi, che cercano di migliorare i rendimenti annuali.
Tuttavia, emerge il dubbio che questo entusiasmo possa essere prematuro. Le valutazioni del settore tecnologico rimangono elevate in termini assoluti, con multipli prezzo/vendite superiori ai livelli osservati durante la bolla delle dot-com. Anche in termini relativi, la differenza tra il rendimento degli utili del Nasdaq 100 e il rendimento dei Treasury a 10 anni è ai minimi storici, suggerendo che le azioni tecnologiche potrebbero essere sopravvalutate rispetto ai bond.
La domanda cruciale è quindi se il rally di ieri sia effettivamente giustificato dai fondamentali o se sia stato alimentato da fattori più tecnici e comportamentali.
La rimozione dell'incertezza legata al rapporto CPI e l'attesa di un taglio dei tassi da parte della Fed hanno certamente giocato un ruolo chiave, ma è importante considerare che le previsioni del mercato sui tassi di interesse si sono dimostrate errate più volte nel corso dell'anno.
Ad esempio, a gennaio, molti analisti prevedevano un percorso di tagli più rapido e aggressivo, ipotesi che si è rivelata completamente sbagliata.
Un altro elemento, che merita attenzione, è il potenziale cambiamento nella valutazione del tasso neutrale, il livello di tassi di interesse che non stimola né rallenta l’economia.
Alcuni analisti suggeriscono che questo tasso possa essere più alto di quanto precedentemente stimato, il che implicherebbe che l'attuale politica monetaria è meno restrittiva di quanto si pensi.
Se questa ipotesi fosse corretta, la Fed potrebbe essere costretta a mantenere i tassi più alti più a lungo per evitare un nuovo aumento dell'inflazione.
In conclusione, mentre l'inflazione mostra segni di rallentamento, ma rimane “appiccicosa”, il ritorno al target del 2,0% della Fed richiederà un approccio cauto e graduale.
La reazione dei mercati suggerisce un ottimismo che potrebbe non essere pienamente giustificato dai fondamentali. Sebbene i titoli tecnologici abbiano beneficiato di un rinnovato interesse, le loro valutazioni rimangono elevate e l'interrogativo sulla sostenibilità del rally resta aperto.
La vera sfida per tutti gli investitori sarà distinguere tra i movimenti di mercato, guidati da fattori stagionali e quelli sostenuti da fondamentali solidi.
In questo contesto, le previsioni sui tassi di interesse rimangono un elemento cruciale, ma la loro affidabilità è tutt'altro che certa.